“Gesù si mise a parlare loro in parabole: «Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio, costruì una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano. A suo tempo inviò un servo a ritirare da quei vignaioli i frutti della vigna. Ma essi, afferratolo, lo bastonarono e lo rimandarono a mani vuote. Inviò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo coprirono di insulti. Ne inviò ancora un altro, e questo lo uccisero; e di molti altri, che egli ancora mandò, alcuni li bastonarono, altri li uccisero. Aveva ancora uno, il figlio prediletto: lo inviò loro per ultimo, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio! Ma quei vignaioli dissero tra di loro: Questi è l'erede; su, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra. E afferratolo, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna. Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e sterminerà quei vignaioli e darà la vigna ad altri. Non avete forse letto questa Scrittura: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri»? Allora cercarono di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. E, lasciatolo, se ne andarono”(Mc 12,1- 12).
Amore che salva, amore che guarisce
La polemica di Gesù nei confronti dell'establishment giudaico del tempo, continua con una parabola che l'evangelista colloca dopo la prima controversia riguardante l'autorità di Gesù.
È una parabola della pazienza e dell'amore di Dio ma anche un altro tassello del graduale processo di svelamento del Cristo ai suoi fratelli e sorelle. La parabola è, infatti, una sintesi della storia della salvezza, in cui la prima comunità cristiana può rintracciare le sue radici. Gesù vuole mostrare come il duro trattamento riservatogli da parte della leadership d'Israele, è il medesimo trattamento riservato ai messaggeri mandati da Dio lungo l'arco della Storia della Salvezza.
Appare immediatamente chiaro il significato allegorico della vigna, così come il lessico della descrizione: la vigna richiama Israele (Is 5,1-2). Il Padrone, ovviamente, è il Dio del popolo eletto. Il fatto di indugiare in alcuni particolari di descrizione della proprietà ha lo scopo di far rilevare la cura e l’attenzione del proprietario per la sua terra: la funzione della siepe era di tenere lontano gli animali, mentre la torre serviva a difenderla da ladri e predatori di vario genere. L’evangelista, citando Isaia 5, 1-7, mostra come Dio abbia scelto la sua vigna, resa privilegiata fra le Nazioni, l’ha trapiantata dall’Egitto in una terra buona e fertile, perché portasse frutti. Per questa ragione l’ha consegnata a degli agricoltori. E’ legato a costoro tramite un Patto. Il Padrone sembra ritrarsi dalla scena per sottolineare la fiducia verso quella fetta di umanità alla quale ha affidato la sua vigna, per mettere in evidenza lo spirito di condivisione e collaborazione tra il Dio che ci ha “chiamato amici”, non trattandoci come servi, considerandoci cooperatori (Gv15,15) e coloro ai quali, con fiducia, ha affidato la realizzazione dei suoi “progetti di pace e non di sventura” per donare all’umanità “un futuro pieno di speranza” (Ger 29,11) .
La parabola parte dal narrare quella che era una consuetudine da parte dei proprietari terrieri non residenti nei loro poderi ossia affittare vigne o altre tenute a dei contadini affinché si prendessero cura della proprietà, godendo in cambio dei beni prodotti. Considerate le distanze difficilmente percorribili coi mezzi dell’epoca, la rete viaria, la difficoltà di comunicazione del tempo, era evento alquanto raro che i contadini intrattenessero rapporti diretti col proprietario delle tenute loro assegnate. Il testo ci dice che il padrone "a suo tempo inviò un servo", probabilmente dopo cinque anni dall'affidamento del podere, così com'era consuetudine fra gli agricoltori del popolo di Dio. Dopo il quarto anno, secondo le prescrizioni del Levitico (Lv 19, 24), i frutti avrebbero dovuto giá essere consacrati al Signore: atto di " culto" che preludeva alla condivisione dei prodotti della terra, per cui il pio e leale padrone si aspettava di ricevere la sua parte (Lv 19,25).
Il testo menziona i primi tre servi , che ricevono un trattamento sempre più violento da parte dei fittavoli: bastonature, pestaggi, ferite, epiteti... fino all'omicidio. Ci dice poi che il padrone inviò "molti altri" e che questi ricevettero un trattamento analogo ai primi tre. È la sorte toccata ai messaggeri (profeti e leaders) inviati da Dio ad Israele. Essi avevano il ruolo di ricordare la promessa ed invitare il popolo alla fedeltà dell’Alleanza sinaitica.
I fittavoli, allegoria dei capi di Israele, sembrano aver perso il senso della realtà: essi sono sì, figura di Israele ma rievocano anche i nostri progenitori. Come Adamo ed Eva, essi, volutamente dimenticano di essere, semplicemente, custodi. Ogni senso della gratitudine è smarrito; finiscono per sentire la vigna come proprietà piuttosto che come dono del padrone. Dimenticano l'Alleanza e cercano di togliere di mezzo coloro che, con la loro voce e presenza, ricordano loro di essere solo "custodi": pienamente legittimati a godere dei beni loro affidati ma pur sempre custodi e non proprietari del gregge del Signore, tutori del popolo di Dio, soprattutto degli ultimi. La tematica dei "pastori cattivi e indegni" è uno dei più ricorrenti leitmotiv delle predicazioni dei profeti, che proprio per aver richiamato i capi alla loro autentica missione, sono stati sacrificati al sacro moloch dei privilegi illegittimi carpiti da capi iniqui. Interessante notare come Gesù, in comunione con tutta la tradizione profetica, non deplori la legittimità della leadership, nè i profeti propongono alternative di sapore "anarcoide" bensì intendono richiamare i pastori di Israele, ad un esercizio dell'autorità conforme ai principi dell'Alleanza, della Torah. I leaders vengono accusati di volgere a proprio vantaggio la promessa di cui sono custodi. Secondo alcuni esegeti, questa intenzione negativa avrebbe potuto anche equivalere ad una lettura nazionalistica dell’ideale messianico.
Nonostante tanta ingratitudine, violenza e disprezzo da parte dei vignaioli, il proprietario decide così di inviare - per ultimo - il suo "figlio prediletto". Chiara risulta l'allusione al Messia, sia per l'accenno alla tempistica (" lo inviò loro per ultimo", culmine e sigillo della Storia della Salvezza, cfr. Mc12,6), sia per l' espressione "figlio prediletto", usata dall'evangelista nelle due narrazioni teofaniche del Battesimo di Gesù (Mc 1,11) e della Trasfigurazione (Mc 9,7).
Con Gesù si conclude la linea dei Profeti. Egli è la Parola definitiva e risolutiva: quando il Padre ha donato il Figlio, non possiede più nulla di così caro, non ha davvero altro da donare.
I fittavoli risultano ancora più colpevoli proprio perché, riconoscendo esplicitamente il Figlio come erede, lo uccidono con la deliberata intenzione di impossessarsi loro stessi della vigna, sfruttandola a loro piacimento e senza dar conto al padrone.
Il Figlio, non solo viene respinto ed ucciso con ancora più feroce violenza ma Gli viene riservato l'atroce oltraggio – proprio a Lui, che è l'erede - di essere scaraventato " fuori dalla vigna". Alcuni studiosi hanno letto in ciò un'allusione alla Crocifissione di Gesù fuori dalle mura della Città Santa, Gerusalemme. Tuttavia, l’omicidio del Figlio non conclude la Storia ma la indirizza su un binario cristologico-ecclesiologico. La vigna non è abbandonata ma solo sottratta ad amministratori incapaci e indegni.
A questo punto, direttamente il proprietario "verrà e sterminerà quei vignaioli e dará la vigna ad altri". Mentre l’evangelista Matteo (21,41.43) riflette la rivendicazione della chiesa primitiva ossia che l'identità di popolo di Dio e il suo posto nel Regno erano stati trasferiti da Israele alla Chiesa, Marco, pur sottintendendo in modo sottile tale ipotesi, sembra tuttavia più interessato a sottolineare l'inadeguatezza dei capi di Israele e la perdita della loro dignità a causa della loro malafede ed esigenza di mantenere stabilmente poteri e privilegi anche a scapito della verità, della “rovina” (potremmo dire “spirituale” ma nella cultura ebraica i due piani si compenetravano…) del popolo che Dio ha scelto per donarsi\rivelarsi al mondo. Il richiamo ad un versetto veterotestamentario dal sapore messianico corrobora ulteriormente il ruolo di Gesù incastonandolo nella tradizione scritturale con la celebre citazione (12,10-11) tratta dal Salmo 118 (vv. 22-23): " La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo", sottolineando coi toni e le espressioni che "proprio dal Signore è stato fatto questo" (Sal 118,23).
La prospettiva ecclesiale è chiara: l’immagine della vigna è stata sostituita da quella dell’edificio la cui pietra angolare è Cristo Risorto (At 4,11; I Pt 2,4.7)
Il testo si chiude con la consapevolezza dell'ostilità di Gesù nei confronti dei suoi avversari i quali, non potendo reagire ancora apertamente per timore della folla, ricercheranno altri espedienti per screditare Gesù attraverso dispute e domande insidiose.
MEDITAZIONE
Amore motivante e frutti di pace
Certamente, come abbiamo visto, il testo fa riferimento ad Israele ma possiamo leggere la parabola odierna come una parola rivolta ad ogni uomo e donna di ogni tempo cioè a noi stessi/e. Possiamo considerarla una sorta di promemoria dell’Amore, della cura e dell’attenzione di Dio nei confronti di ognuno di noi. La vigna amata nel testo è, certamente, Israele, ma sappiamo che ogni creatura, nessuno escluso, è oggetto della benevolenza del Dio Padre e Madre “... che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e manda la pioggia sui giusti e gli ingiusti”. Ognuno di noi è, quind,i vigna amata, curata, attenzionata e custodita dalla cura materna del Signore. L’evangelista ci rammenta l’Amore di Dio per ciascuno di noi. E’ davvero importante sia per Marco che per i Profeti che noi comprendiamo quanto siamo preziosi agli occhi di Dio: per far ciò viene ripreso un brano tratto dal libro del profeta Isaia. La vigna è pianta che richiede particolari attenzioni: il Signore la protegge con una siepe, vi scava una buca per mettervi il torchio (e così spremere l’uva e produrre vino), vi edifica una torre, posto di avvistamento e di tutela da ladri e predatori.
E se provassimo davvero a rileggere, meditare e ruminare questa straordinaria parabola come un appello indirizzato direttamente alla nostra libertà ... cosa accadrebbe dentro di noi ed intorno a noi? Anzitutto, dovrebbe commuoverci profondamente che il Signore ha cura di noi, “sin dal grembo materno”. Egli conosce la nostra storia, conosce i nostri cuori e, come un agricoltore cura la sua vigna; Dio, come mamma premurosa, ha cura di noi: ci protegge, cercando di tenere lontane le fiere dello scoraggiamento e dell’abbandono (le siepi), veglia su di noi, attraverso le persone che amiamo, attraverso la cura e l’attenzione da parte dei nostri pastori, incaricati dal Signore di occuparsi della nostra crescita interiore, di aiutarci a coltivare, attraverso la predicazione, l’esempio e gli altri mezzi che la Tradizione delle nostre Chiese ci mette a disposizione, la relazione con Dio. Sgorgherebbe spontaneo un fiume in piene, assolutamente inarrestabile di commossa gratitudine ….
Da questa grata consapevolezza dei doni di Dio, come innumerevoli sono i gesti del vignaiolo per la cura della sua vigna, deve scaturire l'impegno a dare quei frutti di giustizia e amore che Dio si attende da noi. La gratitudine ringrazia restituendo cioè, nel linguaggio biblico, “producendo frutti”: possiamo misurare la qualità della nostra relazione con Dio dai frutti ossia dal ciò che muove le nostre azioni (la psicologia odierna parlerebbe di “motivazione” o, più in disuso, di “spinta motivazionale”). Non dal sentimentalismo, non dai post grondanti sentimenti di affettata “liberalità” pubblicati sui social, non dalle giaculatorie, dalle lacrime dinanzi a predicatori e situazioni “commoventi” e neppure soltanto dallo splendore delle nostre Liturgie: “l’albero si vede dai frutti”, ci ha insegnato il Maestro. Se “l’amore di Cristo ci spinge”, cercheremo il bene comune (non solo il nostro), avremo cura della “vigna del Signore” cioè dei nostri fratelli e sorelle, secondo il ruolo e compito assegnatoci, soprattutto degli “ultimi” e dei puù deboli. Certo, la pace, la serenità interiore, sono conseguenze del nostro essere alberi buoni perché innestati nell’Amore di Dio. Siamo esseri umani, inconsapevoli di molte dinamiche ma se le nostre intenzioni sono conformi al Vangelo e volte al Bene, lo Spirito infonderò in ogni nostro pensiero e azione quella “… saggezza che viene dall'alto, anzitutto ... pura; poi pacifica, mite, conciliante, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale, senza ipocrisia” (Gc 3,17)
++ Maria Vittoria Longhitano
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