Premessa: La Diaconìa segue il lezionario ambrosiano.
Cristo Re (rito ambrosiano)
Quando vogliamo indicare un innocente perseguitato, vilipeso, vittima dell'ingiustizia, o semplicemente un disgraziato, un nessuno, non troviamo espressione più efficace di "povero cristo". "È proprio un Cristo in croce", commentiamo fra l'addolorato e il sarcastico.
Recentemente, in piazza Castello a Milano, la scultrice Cristina Donati Meyer ha esposto una sua opera raffigurante un'afgana con burqa, il corpo stracciato disteso su una croce. Una creazione che richiama alla mente la più famosa delle sante crocifisse, Giulia di Cartagine. Pur così lontana, persa negli abissi del tempo e dell'agiografia, la Giulia immortalata nel candore marmoreo dei fratelli Carra è idealmente sorella delle donne impacchettate con espressionistica brutalità dall'artista milanese. Una martire, una straniera, una voce che grida libertà. Esattamente come le attuali vittime della barbarie talebana.
Nessun simbolo, nessun corpo è più potente d'un corpo in croce. Tanto più significativo se si pensa che l'Afghanistan è un paese in larghissima parte musulmano e che l'autrice è una laica d'origine ebraica. Il crocifisso è indubbiamente un uomo, maschio; e tuttavia, proprio nel momento in cui lo riconosciamo come tale, in qualche modo si sfarina. Malgrado la sua matericità non è circoscritto, quindi diviso (se-cato, da cui "sesso"). Assume e ricapitola qualsiasi sofferenza, storica e spirituale, maschile e femminile. Ma, soprattutto, è un uomo, maschio, che in tutta la sua vita ha demolito qualsiasi forma di patriarcato, negato valore ai valori universali per eccellenza, su cui si erano fondate tutte le civilità: gerarchia, prepotenza, forza, schiavitù, guerra, nazionalismo, razzismo e naturalmente sessismo. Ed erano valori "virili". Ad essi, Gesù contrappose ideali di mitezza, misericordia, amore per il nemico, uguaglianza di tutto il genere umano; e proclamò beati i poveri, i dimenticati, i "nessuno" della storia. Una rivoluzione totale, che cominciò proprio dalla demolizione dell'ordine maschiocentrico per approdare all'era dello Spirito,.che in ebraico è femminile. Quel corpo in croce rappresenta quindi anche le donne perché sessuato ma non sessista; è uomo nel senso di humus, terra. Non vittima sacrificale, come purtroppo è stato insegnato da certo cristianesimo; piuttosto, amore-carità, che "non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio - chiosa San Paolo - ma umilia sé stesso - si rende cioè humus - facendosi obbediente fino alla morte di croce", entrando appieno nel dramma umano, in tutti i drammi. Lo fa per un eccesso di vitalità, fino al rischio di sé, perché sedotto dalla sua creatura al punto da condividerne la storia, e a sua volta divinizzarla. Così, in questa ricapitolazione a mosaico, anche la donna è "imago Christi". Questo sconfitto, questo maschio non machista, che pone gli ultimi al primo posto, è oggi proclamato re. Ma la regalità di Cristo non è ancora apparsa in questo mondo, i miti non hanno ereditato la terra, i poveri non sono stati saziati, chi ha fame e sete di giustizia continua a essere affamato e assetato. Perché non siamo stati capaci di metterci alla sequela di quell'uomo in croce. Oggi si celebra la giornata mondiale dei poveri, indetta dal Papa cinque anni fa. Scrive Francesco: "Quanti non riconoscono i poveri tradiscono l'insegnamento di Gesù e non possono essere suoi discepoli [ma ricorda anche] che il primo povero è lui, il più povero tra i poveri, perché li rappresenta tutti". I poveri di oggi sono in parte quelli di ieri (fame, povertà, guerre, in particolare in Siria e nello Yemen, alimentate dai mercanti d'armi, fra cui primeggiano gli italiani), in parte i nuovi poveri, anziani, giovani senza impiego, lavoratori cancellati da un mercato senza volto che disloca le aziende in paradisi fiscali, o costretti a turni massacranti e in condizioni di sicurezza quanto mai precarie; malati abbandonati da una sanità pubblica allo sbando, dove i pronto soccorso chiudono - è notizia di questi giorni - per mancanza di personale, oberato da turni insostenibili ed enormi responsabilità; donne vittime di femminicidi, migranti, spesso giovanissimi, che continuano a morire sulle nostre coste, razzismo in ogni sua declinazione... Ma non dimentichiamo i cristiani e specialmente le cristiane perseguitate, in Asia e Africa: proprio ieri cadeva il quarto anniversario del rapimento in Nigeria di Leah Sharibu, ridotta in schiavitù da Boko Haram per aver rifiutato una conversione forzata.
Il crocifisso - annotava nel 1988 Natalia Ginzburg - simboleggia questi e tutti i martoriati perché sparge una inedita idea di uguaglianza e giustizia. Per lo stesso motivo non è un mero simbolo religioso e non discrimina nessuno, tantomeno le altre fedi. Del resto, nel suo essere compenetrato nella storia, il crocifisso è anche un uomo ebreo. Sempre Ginzburg sottolinea che "Ama il prossimo tuo" era un comandamento già presente nell'Antica Alleanza, perfezionato da Cristo che lo applica "alle nazioni", proclama Isaia, cioè agli stranieri e ai "pagani". Agostino, nelle sue "Meditazioni sul Vangelo di Giovanni", afferma che il Re dei Giudei è tale per davvero, sul suo trono di croce, perché "è discendenza di Abramo" che fa nascere i suoi figli persino dalle pietre; osiamo aggiungere che Gesù, più che superare l'ebraismo, ne scavalca il nazionalismo e lo apre, universalizzandolo; rendendo noi pure popolo eletto, ma restando ebreo per sempre; perché siamo, spiritualmente, tutti semiti e quest'appartenenza è indissolubile ed eterna.
© Daniela
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